Vegano

Oggi è stata una giornata pesante al lavoro. Il traffico per tornare a casa mi ha fatto venire il mal di testa. Le news alla radio mi hanno messo in agitazione, continuano questi avvistamenti degli UFO; all’inizio ero scettico, poi sono seguite alcune ammissioni di autenticità dal Governo e da allora non passa giorno senza un nuovo titolo sensazionalistico sulla stampa. C’è qualcuno che afferma di averli visti, sarebbero come delle enormi cavallette. Sui social diffondono decine di video, quasi tutti fasulli, ma comunque contribuiscono all’aumento di psicosi e ansia.

Devo anche fare la spesa, il mio frigo è vuoto. Mi fermo al supermercato vicino casa. Fortunatamente è deserto, farò in fretta. Prendo un po’ di frutta e l’ultima confezione di insalata fresca già pronta. Gli scaffali sono desolati. Riprendo a trascinarmi il carrellino tra una lieve scossa di brividi, devo avere anche un po’ di febbre.

Giro l’angolo e noto che il reparto carni è invece molto fornito anche se c’è qualcosa di strano. Le scritte sono diverse, incomprensibili. Sembrano codici a barre ma le barre non sono solo parallele, si intersecano formando caratteri mai visti, i numeri invece hanno il solito aspetto. Mi avvicino per curiosità ad osservare meglio un coscio di tacchino sottovuoto, mi sembra sproporzionatamente lungo e affusolato, come un braccio umano. Mentre ancora sto prendendo coscienza della parola “umano” scorgo qualcosa che mi raggela. Preferirei non guardare, prego di sbagliarmi, invece più là ci sono delle teste, umane. La calotta cranica è stata tagliata dalla fronte alla nuca, passando appena sopra alle orecchie, la plastica aderisce al cervello prendendo la forma dei solchi e delle circonvoluzioni. Gli occhi sono rigirati e si vede solo il bianco iniettato di sangue, la bocca è squarciata e manca del tutto la mandibola, ma la faccia è riconoscibile in trasparenza. E riconosco tra quelle teste martoriate il viso, prima così bello, della mia vicina Martina: una ciocca di capelli biondi è rimasta intatta dietro l’orecchio; sulla sua targhetta c’è stampigliato F28.

Alzo lo sguardo verso la vetrina della macelleria e vedo la prima “cosa viva” del supermercato. Non è Giovanni, il solito macellaio che prepara le confezioni di fettine e di macinato, sembra piuttosto un insetto gigante, che tenendo in mano – cioè negli arti superiori destri – due mannaie, sta facendo a pezzi il corpo di un giovanotto. Appesi ai ganci che ospitavano i quarti di bovini ci sono altri mezzi corpi di uomini e donne.

L’impulso di fuggire via non è praticabile, ho la testa annebbiata, le gambe pesanti e mi viene da vomitare. Ho il fiatone, chino la testa e cerco di riprendere il respiro normale. Guardo la punta delle mie Nike, davanti compaiono le scarpe di plastica bianche di un inserviente del negozio. I pantaloni della divisa sono macchiati di sangue, dalla tasca penzola il badge della COOP di Luigi. Ma dalla cintola in su Luigi non c’è più: innestato nel suo tronco sanguinolento spunta il corpo irsuto di una specie di cavalletta gigante. Mi ritrovo a fissare i suoi grandi occhi, sembrano due sfere a specchi come quelle delle discoteche. Sopra la testa due lunghe antenne ondeggiano lentamente. La bocca, orrenda, ha al posto delle labbra delle piccole corazze incernierate ai lati, e delle appendici mobilissime, come dei baffi carnosi. Ne esce un suono come di unghie che strisciano sulla lavagna, e non so come ne capisco il significato: “Tutto bene signore? Vuole provare il cervello, glielo consiglio, questi sono freschissimi”.

Mi porge la testa della mia vicina. La afferro e mi accorgo con orrore che al posto delle mani ho anch’io due paia di artigli legnosi. Con lo stesso suono stridulo rispondo: “No grazie. Sono Vegano”. Mi affretto a riporre la testa di Martina nel frigo, affianco ad una con scritto M40, è la mia.

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